Finalmente sono riusciuta a finire il romanzo che ho trovato nel bookcrossing e che quindi ora è pronto per tornare libero. Parlo di Il ricco e il giusto, di Helen Van Slyke, che ho preso a Treviso al posto di Olive Kitteridge e che ora lascerò a…? Non ho ancora deciso, ma vi farò sapere. Chissà che uno di voi non lo trovi e continui il giro.
Trama
Joseph Haylow, partendo da una ditta di cosmetici, ha costruito un impero. Ora, però, è arrivato il momento di nominare colui che diventerà il suo successore alla presidenza. I pretendenti sono numerosi e agguerriti: suo figlio Roger, lo spregiudicato Brad Deland, Bridget, la “first lady della vendita al dettaglio”, lo sfuggente Richard Cabot. La scelta di Joe avrà ripercussioni non solo lavorative, ma anche e soprattutto familiari. Il vecchio patriarca si comporterà come sempre, privilegiando gli affari rispetto ai sentimenti, oppure la recente riconciliazione con il figlio ribelle gli ha addolcito il cuore? E la bella Bridget, riuscirà a tenere da parte i sentimenti per raggiungere quegli obiettivi per cui si è sempre sacrificata come donna?
Intrighi e colpi di scena
Intrighi e colpi di scena non mancano. Helen Van Slyke sembra quasi ripercorrere la sua carriera lavorativa, iniziata proprio in una multinazionale di cosmetici prima di scoprire la sua vera vocazione di scrittrice. Il patron della Haylow è un uomo complesso: profondamente religioso, ma anche cinico e spietato negli affari. Il figlio, che al contrario crede nell’etica e nella giustizia, lo ha sempre rimproverato di essere un padre assente e incoerente rispetto ai valori in cui professa di credere. I due sono più simili di quanto loro stessi riescano a vedere, eppure sulla loro strada diversi personaggi vorranno frapporsi, per aiutare o per distruggere definitivamente il loro rapporto. Soprattutto il vecchio dovrà scendere a patti con la sua cecità per riuscire a capire davvero chi gli sta intorno e di chi può fidarsi davvero.
Temi etici forti
Non è il primo romanzo di Helen Van Slyke che leggo e riconosco a questa scrittrice la capacità di differenziare notevolmente le sue storie. Le trame sono profondamente diverse, toccano temi etici importanti e l’amore c’è, ma è il risultato di una catarsi completa dei protagonisti. Assume, insomma, la forma di atto finale a cui tendere per sentirsi davvero donne e uomini completi. Anche in questo caso il politicamente corretto viene lasciato alla porta. Lei scriveva negli anni ’70 e forse oggi parlare di omosessualità nel modo in cui lei lo fa le attirerebbe non poche critiche. Bisogna entrare nella psicologia dei personaggi e nel loro vissuto per accettare i commenti che vengono a più riprese fatti e che probabilmente corrispondono a quanto molti, nel buio delle loro stanze, pensano ancora oggi.
Dio non è in terra
Quindi, il romanzo è un’ottima occasione per confrontarsi con una concezione di Dio che spesso travalica i confini dell’umano. Quante persone religiose si sentono così perfette da sfiorare la mano di Dio? Tante, e Joe non fa eccezione. E’ solo così che possiamo spiegare il rifiuto di Roger di giustificarsi di fronte al padre, che per lui è fallibile come sono tutti i genitori. Lui vuole solo essere accettato come figlio, in sé e non per un’immagine che deve corrispondere a quella che il padre si è costruito nel cervello. Non è quello che in fondo sperano tutti i figli? Un romanzo ricco di spunti di riflessione. Peccato solo che la scrittrice condensi nelle ultime 100 pagine la parte davvero interessante della storia, perdendosi per 2/3 in un mare di descrizioni che solo in parte sono funzionali a farci entrare nell’ambientazione e nella psicologia dei personaggi.
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