Rosamunde Pilcher, una vita da romance

Tutti conoscono le sue meravigliose descrizioni dei paesaggi della Cornovaglia, che fanno sognare da oltre 30 anni milioni di lettrici, e ci scommetterei anche lettori, in tutto il mondo. Sto parlando della signora inglese dei romance Rosamunde Pilcher. Come già vi ho raccontato, quando ho voglia di una lettura riposante e rassicurante, scelgo uno dei suoi romanzi, perché so fin dall’inizio che mi condurranno in porti sicuri. E dopo essere finalmente riuscita a vedere coi miei occhi quella terra meravigliosa, ho fame di tutto ciò che mi parli di lei.

Ma a chi appartiene la penna che ci trasporta in un universo favoloso fatto di piccoli avvenimenti e grandi sentimenti? Ho faticato per raccogliere tutte queste informazioni e, dopo diversi giorni di lavoro, posso affermare con un certo orgoglio che nessuna fonte sia più completa. Vi presento la regina del romance inglese, Dame Rosamunde Pilcher. Se volete sapere tutto su di lei, continuate a leggere. Scoprirete che la sua vita è stata affascinante come le sue storie. 

La biografia

Una gentile e dimessa signora inglese che ha posato penna e calamaio nel 2000, per raggiunti limiti di età. Oggi, a quasi 94 anni, sembra goda di ottima salute (aggiornamento. Rosamunde ci ha lasciato oggi, 6 febbraio 2019. Ha goduto di ottima salute fino alla fine, quando un ictus improvviso l’ha portata via). Rosamunde Scott, infatti, è nata il 22 settembre 1924 a Lelant, un piccolo villaggio nei pressi di St. Ives, in Cornovaglia, dove io sono passata in un giorno troppo tempestoso per potersi fermare a visitarlo. Racconta che all’età di sette anni, durante un lungo viaggio in macchina, il padre le diede un blocco per farle passare il tempo e lei ne approfittò per scrivere una storia. Si definisce “una figlia dell’India britannica“. Suo padre, infatti, ha lavorato in Birmania, ora Myanmar, dal 1924, anno della sua nascita, fino al 1938. “Tornava a casa ogni quattro anni“, Quando lei aveva solo 4 anni, sua madre andò a trovarlo e rimase in Birmania per un anno, durante il quale Rosamunde Pilcher rimase con una zia in Scozia. “Non abbiamo pensato alla separazione. L’accettavamo e basta“.

Gli studi

Dopo aver studiato alla St. Clare’s Polwithen School, Rosamunde Pilcher si trasferisce con la famiglia a Cardiff perché il padre viene arruolato in Marina. Rosamunde prosegue gli studi prima alla Howell’s School Llandaff e poi presso il Miss Kerr-Sanders’ Secretarial College di Londra fino al 1939, quando lo scoppio della guerra cambia tutto. Rosamunde interrompe la scuola e nel 1940 entra nel Foreign Office. Passa due anni a Portsmouth, prestando servizio per il Royal Naval Service femminile prima di fare domanda per andare in Francia. Invece, la sua nave si dirige verso l’Asia e lei si ritrova nello Sri Lanka. Mentre si trova a Ceylon, invia un racconto prima a suo padre e poi decide di mandarlo anche alla rivista Woman and Home. Il giornale glielo pubblica e da questo momento lei diventa ufficialmente un’autrice. “Non c’è magia più grande di quando vendi il tuo primo pezzo”. In realtà, le motivazioni che la spingono a scrivere all’inizio sono tutt’altro che magiche: Quando vivevamo in Cornovaglia ero felice. Correvamo selvaggiamente sulle spiagge e andavamo in canoa, facevamo picnic e nuotavamoMa i soldi erano sempre pochi e quando da piccola sentii mia madre parlare di un conoscente intraprendente che faceva una bella vita scrivendo per il Ladies’ Home Journal , pensai che sposarsi, scrivere ed essere indipendente fosse la soluzione. E allora ho scritto e ho scritto e ho scritto“.

Il matrimonio

pilcher grahamQuando la seconda guerra mondiale finisce, la ventunenne Rosamunde Scott torna in Cornovaglia e nel settembre del 1946 incontra l’eroe di guerra Graham Pilcher, che cercava di riprendersi grazie alle cure di sua nonna a St. Ives. Pilcher era stato gravemente ferito in battaglia l’anno precedente ed era stato costretto a dare le dimissioni. E’ amore a prima vista: Rosamunde e Graham si sposano tre mesi dopo l’incontro, nel dicembre del 1946. La coppia si trasferisce a Dundee, in Scozia (a nord di Edimburgo) e mentre il marito torna a lavorare nell’impresa di famiglia, la Jute Industries Ltd., Rosamunde rimane a casa. Inizia a scrivere brevi storie d’amore su una macchina da scrivere portatile e pubblica le sue storie in serie su alcune riviste femminili. Nel 1948 nasce la sua prima figlia, Fiona, e il lavoro di scrittura le consente di accudire la bambina pur ritagliandosi uno spazio d’indipendenza. Nel 1949 esce il suo primo romanzo, Half-Way to the Moon, dato alle stampe con lo pseudonimo di Jane Fraser, a cui fanno seguito altri nove romanzi rosa, che più tardi lei stessa ha definito poco lusinghieramente “orribili piccoli libri – roba romantica con rose rosse in copertina.

La carriera

jane fraserNel 1955 comincia a fare sul serio: esce il suo primo lavoro pubblicato con il nome da sposata, A Secret to Tell. Nel frattempo, la famiglia si è allargata. Sono nati i figli Robin nel 1950 e Philippa nel 1953, seguiti nel 1958 dall’ultimo, Mark. Nel frattempo continua a scrivere come Jane Fraser, finché nel 1965 esce On my own. Da questo momento in poi, tutti i suoi lavori saranno firmati Rosamunde Pilcher. I suoi figli imparano presto a rispettare il lavoro della madre, anche se portato avanti con metodi diciamo inconsueti. “Compongo sempre i miei dialoghi ad alta voce“, ha detto lei in un’intervista, dove racconta anche: “Una volta, quando Fiona era piccola, c’era un suo amico in casa mentre io stendevo il bucato sussurrando il mio dialogo. L’amichetto disse a mia figlia – Guarda, le labbra di tua madre si muovono -, e lei gli rispose – Non essere stupido. Sta scrivendo.

Durante gli anni ’70 scrive altri sei romanzi; alcuni dei quali pubblicati a puntate su riviste femminili: The End of Summer (I giorni dell’estate, 1971), Snow in April (Neve d’aprile, 1972), The Empty House (La casa vuota, 1973), The day of the storm (Il giorno della tempesta,1975), Under Gemini (Sotto il segno dei gemelli, 1976), Wild Mountain Thyme (Profumo di timo, 1978).

I cercatori di conchiglie, un libro da spiaggia per donne intelligenti

shell seekersNei primi anni ’80, escono The Carousel (1982) e Voices in summer (Voci d’estate, 1984). All’età di 60 anni, mentre sta pensando seriamente di ritirarsi per riscuotere la pensione di vecchiaia, il suo editore americano Tom Dunn va a trovarla. Dunn le chiede di scrivere una “grande, grandissima saga familiare per le donne“, che possa entrare nei best-seller. Lei, per fortuna nostra, accetta la sfida e nasce così il suo libro di maggior successo, I cercatori di conchiglie (1987). Il ragionamento era semplice: la gente cominciava ad annoiarsi con le storie alla Dynasty, stanca delle vite di ricchi odiosi che imperversavano nella televisione degli anni ’80. Rosamunde, invece, aveva voglia di scrivere il romanzo che avrebbe voluto leggere, cioè Un libro da spiaggia per donne intelligenti che vogliono perdersi in un grande romanzo che racconta le storie di persone vere. Sapevo che c’era spazio nel mercato”.

E non si sbaglia. I cercatori di conchiglie scala le classifiche in tre settimane e rimane ben due anni nella lista dei best seller del New York Times per 2 anni. È stato tradotto in oltre 20 lingue e ha venduto oltre 5 milioni di copie in tutto il mondo. Il romanzo possiede gli ingredienti giusti per piacere al pubblico femminile: la voce narrante è quella di un’anziana donna britannica, Penelope Keeling, che ha prestato servizio nel Royal Naval Service femminile, proprio come Rosamunde da giovane, e che racconta con un flashback la storia della sua famiglia durante la seconda guerra mondiale, con trame che s’intrecciano ambientate nella natia Cornovaglia, a Londra e nel Gloucestershire. Il romanzo è stato trasformato in un film TV del 1993 con Angela Lansbury, e di nuovo nel 2006 in un film TV interpretato da Vanessa Redgrave nei panni di Penelope Keeling. Questo libro di grandissimo successo ha segnato un punto di svolta insperato per Rosamunde Pilcher, che da quel momento in poi è stata costantemente nell’elenco dei best seller con i suoi successivi lavori.

Nonostante sostanzialmente l’operazione di marketing fosse stata condotta a tavolino, l’incredibile risposta delle lettrici la lascia di sasso. “Non l’avrei mai immaginato, forse perché non mi aspetto mai niente da nessuno. In questo sono un po’ scozzese, non mi piace deludere e rimanere delusa. Mi piace prendere la vita con lentezza”.

Settembre, è alle donne scozzesi che pensa quando lo scrive

SeptemberIl libro seguente, Settembre, è un altro incredibile successo e anche il mio preferito in assoluto. E’ il 1990 e Rosamunde ha quasi 70 anni. Lei continua però a tenere un profilo basso “Non sono mostruosamente intelligente, non ho neanche il diploma universitario”. Si definisce una donna che ama trascorrere le giornate facendo giardinaggio, camminando e andando a trovare i vicini con i nipoti. Come una qualsiasi signora di campagna. Solo che questa signora ogni tanto si siede alla macchina da scrivere e dà sfogo alla fantasia. Scrivere è un po’ come ripulire il garage“, dice, “lo rimandi per mesi e mesi e poi un giorno lo fai, e alla fine non ti dispiace. Dopotutto non è poi così male, no?” Anche Settembre è diventato un film TV nel 1996 con Jacqueline Bisset, Edward Fox, Michael York e Mariel Hemingway.

Anche Settembre balza immediatamente al primo posto nella lista dei best sellers del New York Times e riceve questa lusinghiera definizione dal Washington Post: “Esistono due tipi di narrativa. Libri che fanno bene ma che ti lasciano una sensazione di fastidio e un altro tipo, i libri conforto, che ti fanno bene perché rallegrano I libri della Pilcher appartengono a quest’ultima categoria”.

La Pilcher si rende conto che la sensazione di conforto è particolarmente apprezzata dalle lettrici che lei conosce meglio, quelle a cui pensava mentre scriveva Settembre: La vita per le donne nella Scozia rurale non è come in nessun’altra parte del mondo. Viviamo tutti molto distanti e non c’è un vero senso della comunità, non ci sono pub, non ci sono circoli. Quelli del golf sono prerogativa maschile e quindi di fatto le donne vivono isolate e devono sviluppare delle risorse proprie. E’ proprio questo il tipo di vita cui mi sono ispirata”.

Nei successivi dieci anni scrive altri quattro romanzi: Ritorno a casa (1995), The Key (1996), Shadows (1999) e Solstizio d’inverno (2000).

Ritorno a casa, cinque anni per finirlo 

Quando Rosamunde inizia a scrivere Ritorno a casa, è convinta che ci vorrà meno di un anno per finirlo, come i romanzi precedenti. Invece, gliene serviranno ben cinque. Perché il romanzo “non è autobiografico, ma attinge dalle mie esperienze personali”. E’, infatti, la storia di una famiglia inglese negli anni della seconda guerra mondiale.

coming homeCi sono voluti molto più tempo e molta più fatica di quanto pensassi”, confessa lei, che a un certo punto si è trovata a dover riscrivere tutta la prima parte perché si affacciavano troppi personaggi. Per garantire accuratezza storica ha studiato la storia in sei volumi della seconda guerra mondiale di Winston Churchill. Per gli aspetti personali, ha attinto in gran parte dalla sua infanzia in Cornovaglia e dal suo servizio di guerra nello Sri Lanka, dove stava prestando servizio quando la prima bomba atomica è stata sganciata. Judith Dunbar, la protagonista, non è Rosamunde Pilcher, questo ci ha sempre tenuto a specificarlo. Eppure, la storia di Judith ricorda da vicino quella della scrittrice. I genitori di Judith vanno in India e ritornano ogni due anni, il padre di Rosamunde va in Birmania e ritorna ogni quattro. Decidere che taglio dare ai racconti di guerra è stato l’aspetto più complicato del lavoro di scrittura. “All’epoca, eravamo tutti terribilmente consapevoli di questa cosa spaventosa che succedeva in Europa. Tuttavia, volevo che nel libro ci fosse umorismo e trovare un equilibrio per non cadere in farsa, o al contrario risultare troppo drammatica, è stato difficile“.

Come i precedenti, Ritorno a casa diventa subito n ° 1 in Inghilterra e 3 ° nella classifica dei best-seller di New York Times, vincendo il Romantic Novel of the Year Award dalla Romantic Novelists’ Association e diventando un film TV in due parti nel 1998 con Peter O’Toole, Keira Knightley, Joanna Lumley e Paul Bettany.

Solstizio d’inverno

winterNel 2000 scrive il suo ultimo romanzo, Solstizio d’inverno. “Non penso che riuscirò a scriverne un altro”. Rosamunde odia il meccanismo di promozione che stritola gli autori di successo. In più, data l’età sua e del marito ha nuove e diverse preoccupazioni. “Il processo creativo è stimolante, ma non è un passatempo, è un lavoro impegnativo e io sono stanca. Mio marito ha un’anca nuova ed è successo mentre io stavo sto cercando di destreggiarmi tra mille impegni. Non mi era mai successo prima, suppongo che quando ero più giovane avessi più energia e non dovessi prendermi cura di un marito malato. Questa volta penso che sia giunto il momento di appendere il cappello, ma mai dire mai“. Invece, il cappello l’ha appeso davvero e dopo Solstizio d’inverno, titolo non casuale, le sue lettrici non hanno più potuto leggere nessuna delle sue storie.

Gli ultimi anni

Nel 2002 ha ricevuto dalla Regina Elisabetta II il prestigioso riconoscimento O.B.E. (Officer of the Order of British Empire).

Il 2009 è per lei un anno infausto: suo marito Graham muore all’età di 92 anni, dopo ben 63 anni trascorsi insieme. Nel 1996 Graham e Rosamunde avevano infatti festeggiato il 50° anniversario di matrimonio insieme ai quattro figli e a 14 nipoti. Attualmente Rosamunde vive ancora a Dundee, in Scozia. Nonostante il fatto che abbia venduto circa 60 milioni di libri e abbia una fortuna stimata in più di 100 milioni di sterline, continua a vivere la sua vita nella semplicità che da sempre la contraddistingue, circondata da persone che in larga parte non sanno neanche chi sia. Figuriamoci che per gli amici del circolo che frequentava il marito lei è la “moglie di Graham che ha scritto un libro, mi sembra qualcosa tipo Gli scopritori di conchiglie”. L’unico della famiglia che per ora ha seguito le sue orme è il figlio Robin, diventato a sua volta scrittore nel 1999.

Rosamunde Pilcher e la Germania

Rosamunde Pilcher in Germania è popolarissima. Non per i suoi romanzi, ma per le oltre 100 storie per la TV prodotte dalla rete pubblica ZDF. Per più di 20 anni, la prima serata della domenica ha portato milioni di spettatori tedeschi nelle soleggiate scogliere della Cornovaglia. Il primo, Il giorno della tempesta, è stato messo in onda nel 1993 e da allora è stato un successo senza fine. Gli attori sono tutti tedeschi, ma le location sono reali, tanto che le approva anche Mark, l’unico figlio di Rosamunde Pilcher che vive in Cornovaglia e fa l’allevatore. Solo che i tedeschi sono convinti che in Cornovaglia splenda sempre il sole, perché così i film lasciano intendere! Gli inglesi ironizzano, prendono in giro noi poveri turisti illusi: “quando arrivano qui, spieghiamo loro che la Cornovaglia è così bella proprio perché piove sempre”. Rosamunde Pilcher spiega così la sua fortuna: “sono buone storie, che richiamano alla mente un ambiente piccolo e familiare, dove gli uni si prendono cura degli altri. Per non parlare delle splendide immagini, sembrano cataloghi turistici”. E pensare che tutto è nato dall’idea di un produttore della ZDF, innamorato delle luci e dei colori sfavillanti dei grandi paesaggi cornici. Non si può dire che la scrittrice non sia stata aiutata dal destino!

Rosamunde Pilcher non volendo si è trasformata in una macchina da guerra. I pullman che portano in pellegrinaggio i tedeschi hanno contribuito a trasformare decisamente l’industria del turismo della Cornovaglia, che oggi rappresenta oltre il 20% del pil della contea; praticamente un abitante su quattro lavora nel settore. Due terzi di tutti i visitatori stranieri che arrivano in Cornovaglia provengono da Germania, Austria o Svizzera: Sempre più i pellegrini tedeschi arrivano in macchina invece che in pullman, il che è una buona notizia, perché anche se i turisti stranieri in media rimangono il doppio del tempo e spendono il doppio del denaro dei visitatori britannici, l’effetto economico dei gruppi organizzati rimane limitato. Devo dire che sono contenta di aver personalmente contribuito al buon andamento dell’economia cornica.

Le location dei film di Rosamunde Pilcher 

Lamorna Cove

Questa piccola insenatura è apparsa nella sua opera più famosa, I cercatori di conchiglie. Andando a piedi lungo il coastal path che da Mousehole arriva a Lamorna,e ritorno, appare in tutto il suo splendore.

Polperro

polperroQuando vengono inquadrate le case dei pescatori, le scene sono state girate in questo meraviglioso minuscolo villaggio.

 

Penzance, St Michael’s Mount e Land’s End

IMG_6174Il castello di St Michael’s Mount è stato protagonista sia ne I cercatori di conchiglie, sia in Ritorno a casa. Il castello è uno dei luoghi più romantici da visitare, insieme alla dirimpettaia Marazion, da cui si vede il castello e la baia, e Penzance, la cittadina adiacente dove Rosamunde Pilcher studiava.

Il Giorno della Tempesta, invece, è stato girato a Land’s End, adiacente a sua volta a Penzance.

St. Ives

IMG_6283Rosamunde Pilcher viveva qui vicino e molti film inquadrano la baia e il porto.

Newquay

Alcune delle scene di Scogliere dell’amore sono state girate sulla costa del nord della Cornovaglia, celebre per le sue nove bianchissime spiagge e per le sue scogliere che hanno ispirato la storia. Newquay è una cittadina famosa per il surf e per la Fistral Beach.

St Agnes Head

Sulla costa tra Chapel Port e St Agnes sono stati girati molti episodi. I resti delle miniere mostrano il passato industriale della Cornovaglia.

Bedruthan Steps e Gwithian Beach

I primi sono stati utilizzati per le riprese aeree, mentre Gwithian Beach è diventata popolare grazie alle sue splendide viste sul Faro di Godrevy.

Bodmin e Lanhydrock Gardens

Qui sono state girate si sono svolte diverse scene di film, come le Scogliere dell’amore.

Prideaux Place

prideauxPeter Prideaux-Brune è un avvocato in pensione che possiede una dimora signorile del XVI secolo vicino a Padstow, in cui sono stati girati almeno sedici film. In passato, era la casa di un Lord Willoughby, trasformata prima in un hotel di lusso e poi in una distilleria di gin. Una camera da letto ovale, decorata con delicati stucchi e dipinta di verde tenue, è soprannominata Großmutter – perché è lì che nei film la nonna cambia il testamento, dice all’erede che è illegittimo, oppure muore. La casa, che si affaccia su un immenso parco, accoglie circa 25.000 visitatori all’anno, per la maggior parte tedeschi in tour con i pullman, a cui Prideaux-Brune offre il cream tea nella sala da tè. “I tedeschi lo adorano“, dice. Lui stesso, invece, adora apparire con un cameo nei film girati a casa sua. Come dargli torto?

Pencarrow House

James Molesworth-St Aubyn e sua madre, Lady Iona, sono i proprietari di questa magione di 50 stanze a nord di Bodmin che si affaccia su giardini ben curati. Lady Iona racconta di un incidente che occorse quando il soffitto della sala da pranzo scese e coprì tutto di polvere bianca, proprio mentre un gruppo di 160 tedeschi iniziava la visita. In effetti, ai visitatori il fuoriprogramma è piaciuto, perché dimostra che non è tutto perfetto come nei film della Pilcher”.

Lanhydrock House e Giardini

Lanhydrock House è una storica residenza del villaggio di Lanhydrock, vicino Bodmin, eretta nel 1640/1642 ca. e in gran parte ricostruita in stile vittoriano nel 1881. Ora è posto sotto la tutela del National Trust. Circondati da boschi di querce e faggi e da alberi secolari, i sentieri che attraversano la foresta e il paesaggio del parco sono tutti aperti al pubblico e fanno parte della tenuta, che copre un totale di circa 900 ettari.

Trewithen House

E’ una casa di campagna georgiana, si trova vicino Truro ed è apparsa in The Blossom of Life del 1999 e Amazing Grace del 2005. Il ricco proprietario terriero e avvocato Phillip Hawkins acquistò la tenuta nel 1715 e ordinò all’architetto londinese Thomas Edwards di costruire la casa palladiana nel 1723. E’ oggi nella lista del patrimonio nazionale inglese.

Intervista audio a Rosamunde Pilcher

Se volete sapere di più su di lei, ascoltate l’intervista in due parti in cui Rosamunde Pilcher parla della sua vita privata e del suo lavoro e poi, se siete suoi fan come me scrivete sotto nei commenti qual è il vostro romanzo preferito!

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Il seggio vacante – J. K. Rowling non è solo Harry Potter

Questo libro m’incuriosiva molto, fin dalla sua uscita, ma ho aspettato un bel po’ di tempo prima di aprilo. E’ diventato l’ultimo romanzo del mio 2017 e posso dire con sicurezza che non avrebbe potuto esserci finale migliore. D’anno, perché J. K. Rowling piazza nelle battute finali un pugno nello stomaco di quelli che fanno male.

La trama

A Pagford, un ridente villaggio inglese, accade un fatto imprevisto: l’insegnante e consigliere Barry Fairbrother si accascia a terra e muore. La sua dipartita rompe gli equilibri all’interno del Consiglio Locale, lasciando un seggio vacante che diviene la causa di molti dissapori tra l’ala conservatrice dell’amministrazione, che vorrebbe trasformare il centro comunitario cittadino in un albergo di lusso, abbandonando così a se stessi gli emarginati della società, e l’ala “progressista”, di cui Fairbrother era leader. Oltre alle dinamiche politiche, l’evento scatena una serie di reazioni a catena che scoperchiano progressivamente i conflitti sepolti sotto l’apparente tranquillità: i ricchi in lotta con i poveri, i ragazzi in lotta con i genitori, le mogli in lotta con i mariti, e gli insegnanti in lotta con gli studenti, in un crescendo di ripicche e rappresaglie che sfoceranno in tragedia.

Dietro un mondo piccolo e perfetto, si nasconde il male

Premetto che il motivo principale della mia curiosità nei confronti di questo libro era semplicemente capire se il fenomeno Rowling fosse legato esclusivamente alla saga di Harry Potter. Saga che per inciso non ho mai letto, al contrario, per pura mancanza di curiosità. D’altra parte, un successo planetario così enorme di una scrittrice non americana non poteva essere qualificato come marketing e basta.

Questo romanzo me l’ha confermato. Dopo le prime pagine, in cui ho fatto fatica a ricordare tutti i personaggi scesi in campo capitolo dopo capitolo e le connessioni tra loro e nel tessuto sociale della cittadina, finalmente la matassa si è dipanata e pagina dopo pagina ammetto che ho fatto fatica a posare il libro.

Se, al contrario di me, conoscete J. K. Rowling solo per Harry Potter, scordatevelo immediatamente e leggete questo libro. Perché dietro un mondo apparentemente piccolo e perfetto, si nasconde il male e la Rowling lo stana senza pietà. Non c’è bisogno neanche del sole, come diceva Agatha Christie. Perché invece a Pagford piove e piove spesso, il che rende l’atmosfera se possibile ancora più lugubre. Il che rende quasi impossibile pensare che gli irreprensibili cittadini abbiano scelto un villaggio così isolato e umido  per trascorrere un’esistenza tranquilla.

A Pagford c’è tutto, meno che tranquillità

La lotta intestina all’interno del Consiglio è solo uno sfogo per la rabbia repressa che domina gli abitanti, che per un motivo o per l’altro hanno bisogno di affermarsi, se a danno di altri ancora meglio. I ragazzi non sono immuni, sono cresciuti nel veleno e veleno hanno respirato. L’unica cosa che vogliono è buttarlo in faccia a qualcuno, insegnanti o genitori che siano. Chi si salva? Solo lui, il morto, il fantasma Barry, che infatti viene evocato da più parti come un giustiziere divino. Barry era diverso, Barry era un uomo che faceva la differenza. Barry avrebbe potuto salvare le anime. Perché Barry era nato povero e ce l’aveva fatta, senza passare sopra a nessuno, senza dimenticarsi da dove proveniva, spargendo entusiasmo e voglia di fare e di credere in se stessi nelle persone che avevano la fortuna di passare sotto la sua stella.

E’ proprio nella “bellezza” di un uomo comune che vedo il significato del libro: tu, uomo normale, puoi fare la differenza se lotti per il progresso e per una società migliore. A partire dalla scuola, non a caso è un professore, e dalla famiglia.

Echi autobiografici

Sembra che Pagford, villaggio inventato, somigli molto a Tutshill, il villaggio inglese nel quale J. K. Rowling trascorse l’adolescenza. Tanto che gli abitanti hanno sentito la necessità di dissociarsi dai personaggi.

Io credo, invece, che qualunque villaggio e qualunque piccola città, o quartiere di una metropoli, possa riconoscersi nelle maschere universali descritte dalla britannica. Come dice J. K. Rowling stessa: “la classe media è divertente. E’ quella che conosco meglio ed è quella in cui trovi più pretese”. Come non darle ragione? Soprattutto quando queste pretese vengono schiacciate, come sta accadendo oggi praticamente in tutto il mondo, la classe schiacciata non può che emergere in tutto il suo pagfordiano splendore. 

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Inganni – Judith Michael

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Virginia Woolf: una biografia tutta per sé

Virginia Woolf. Centotrentasei anni fa nasceva a Londra, al 22 di Hyde Park Gate nel quartiere di Kensington, Adeline Virginia Stephen, scrittrice, critica letteraria e saggista, editrice e donna che influenzò enormemente la letteratura del ‘900 con la sua arte visionaria. Tutti conosciamo il suo nome, Virginia, e il cognome del marito, Woolf, eppure la sua personalità così complessa sfugge a ogni classificazione e gabbia mentale. Per questo il compito di tracciarne un profilo univoco è arduo e, forse, non può che tradursi in un esercizio di stile fine a se stesso.

La fine

Virginia-Woolf-New-York-Times-Missing-In-England-April-3-1941Il 3 aprile 1941 il New York Time pubblica la foto di Virginia Woolf con la didascalia “Missing in England”, scomparsa in Inghilterra. I biglietti d’addio che sei giorni prima ha lasciato ai cari non lasciano grossi margini di speranza, eppure il corpo non è stato trovato, quindi ufficialmente è ancora missing. Di lì a poco, il fiume Ouse, nel Sussex, restituisce il suo corpo per una degna sepoltura. I coniugi erano a Rodmell, il piccolo villaggio del Sussex dove solitamente trascorrevano le vacanze, perché c’era la guerra e una bomba aveva reso inabitabile la loro casa di Londra. Ma per capire come mai una scrittrice osannata abbia fatto questa scelta dobbiamo tornare indietro, alla sua infanzia.

L’infanzia

22-di-Hyde-Park-Gate-casa-natale-di-Virginia-WoolfAdeline Virginia Stephen nasce il 25 gennaio 1882 a Londra, al 22 di Hyde Park Gate nel quartiere di Kensington. La famiglia è agiata e influente. Suo padre, sir Leslie Stephen, era un autore, storico, critico letterario e alpinista, vedovo in prime nozze della figlia dello scrittore William Makepaece Thackeray (La fiera delle vanità, Barry Lindon), con la quale aveva avuto una figlia, Laura. Sua madre, Julia Prinsep Jackson, figlia di un medico e nata in India, era infermiera e aveva lavorato come modella per pittori del calibro di Edward Burne-Jones. Anche lei era già stata sposata e aveva avuto i figli George, Stella e Gerard. Oltre a Virginia, gli Stephen insieme ebbero altri tre figli: Vanessa, Thoby e Adrian.

Virginia ha la fortuna di vivere in un ambiente ricco di stimoli e influenze della società letteraria vittoriana. Henry James e Thomas Eliot sono tra i frequentatori abituali di casa sua, insieme a pittori, fotografi e artisti in genere. Alle ragazze Stephen, tuttavia, non era concesso di andare a scuola, come prescriveva la rigida regola educativa vittoriana. La loro istruzione era curata direttamente dai genitori e per gli approfondimenti tutti loro potevano liberamente accedere alla fornitissima biblioteca dello studio paterno. Fin da subito, Virginia e i fratelli manifestano la loro inclinazione letteraria. Tanto che quando Virginia ha nove anni creano un giornale domestico, Hyde Park Gate News, in cui scrivono storie inventate che diventano una sorta di diario familiare.

L’adolescenza e la Cornovaglia

talland houseFino all’età di 13 anni, la famiglia Stephen passa le estati a Talland House, una casa in Cornovaglia, tra Polperro e Looe, che il padre aveva cominciato ad affittare nel 1882, l’anno della sua nascita. Proprio St. Ives le ha offerto l’ispirazione per scrivere Gita al faro (1927), uno dei suoi romanzi più famosi. O meglio, a darle l’ispirazione è stato un faro. Gita al faro inizia con la famiglia intera riunita nella casa dell’Isola di Skye e il figlio James che chiede di poter andare in gita al faro il giorno successivo. La madre gli dice che se il tempo sarà bello andranno, mentre il padre risponde bruscamente che non si farà alcuna gita perché il tempo sarà brutto. Anche se il romanzo è ambientato da un’altra parte, era proprio al Godrevy Lighthouse che l’autrice pensava quando lo scrisse. Alla Cornovaglia appartenevano infatti i suoi ricordi più intensi e sereni. Tuttavia, questa parentesi felice della sua vita è stata bruscamente interrotta dalla morte della madre. Il padre, anche lui duramente colpito dalla perdita, vende immediatamente l’amata casa al mare. Solo due anni dopo muore anche la sorellastra Stella e nel 1904 il padre. Questi eventi luttuosi avvenuti a breve distanza l’uno dall’altro portano Virginia al primo serio crollo nervoso, tanto più che ai lutti si sommano agli abusi sessuali subiti da lei e dalla sorella Vanessa da parte dei fratellastri George e Gerald Duckworth.

La giovinezza

bloomsburyDopo la morte del padre, si trasferisce con i fratelli Toby e Vanessa nel quartiere londinese di Bloomsbury, in Gordon Square, dove insieme danno vita al primo nucleo del circolo intellettuale noto come Bloomsbury Group. Il Bloomsbury diviene ben presto il centro culturale inglese, soprattutto durante le serate del giovedì, riunioni nelle quali il gotha degli intellettuali inglesi si ritrova per parlare di politica e arte. Nel 1905 comincia la sua attività di critica letteraria per il Times, facendo conoscenza con importanti intellettuali, tra cui Bertrand Russell, Edward Morgan Forster, Ludwig Wittgenstein e il futuro marito. Il gruppo si chiamava Gli apostoli. Nel 1906, al ritorno da un viaggio in Grecia Thoby, il fratello tanto amato, viene ucciso da una febbre tifoide e l’anno dopo Vanessa si sposa. Tutti questi avvenimenti destabilizzano Virginia, che comunque è in piena attività: dà ripetizioni serali alle operaie di un collegio della periferia, milita nei gruppi delle suffragette, pubblica.

Il matrimonio e la Hogarth Press

virginia-and-leonard-woolfNel 1912 sposa Leonard Woolf, un teorico della politica. Woolf è un uomo devoto, che le sarà sempre accanto fisicamente e spiritualmente, aiutandola a completare nel 1913 il suo primo romanzo, The voyage out (La crociera). pubblicato nel 1915. Lo stress spinge Virginia Woolf verso un altro periodo di depressione. Per farle ritrovare fiducia ed equilibrio, il marito le propone di aprire una casa editrice. Nel 1917, fondano insieme la Hogarth Press, che pubblica scrittori nuovi o autori stranieri poco o male tradotti. Accanto ai loro libri, Virginia e Leonard Woolf riescono in alcuni anni a fare apparire nel catalogo del Hogarth Press delle opere decisive come quelle di T.S. Eliot, Katherine Mansfield, Freud, Rilke, Svevo, Gorki, Cechov, Tolstoj e Fëdor Dostoevskij, anche se con un errore clamoroso rifiutano di pubblicare l’Ulisse di James Joyce.

Nel 1919, Virginia Woolf pubblica il suo secondo romanzo, Notte e giorno, la cui protagonista, prigioniera di una famiglia di letterati, ricorda Vanessa. Nel 1922 pubblica La camera di Jacob, il primo racconto destrutturato, incentrato sulla morte di un giovane deceduto che somiglia molto al fratello Thoby. Nel 1925 pubblica La signora Dalloway, soliloquio che racconta una giornata di Clarissa Dalloway, moglie frivola di un deputato occupata dai preparativi del prossimo ricevimento, che evoca la madre di Virginia stessa. Con Gita al faro (1927), la romanziera ritorna alla storia familiare, probabilmente come detto la sua.

Orlando

30-virginia-vita.w190.h190L’anno dopo pubblica Orlando, che occupa un posto molto particolare nella sua produzione e nella sua vita: dietro la biografia immaginaria di un personaggio androgino che attraversa quattro secoli di storia inglese, c’è in realtà un poema d’amore indirizzato alla scrittrice e sua grande amica Vita Sackville-West. Nel successivo saggio Una stanza tutta per sé del 1929, la Woolf riflette sul donna e narrativa e, più in generale, sul rapporto tra donna e libertà, donna e potere, donna ed espressione. Il tema dell’indipendenza economica della donna come presupposto per la libertà viene portato a compimento nel 1938, con Le tre Ghinee.

La malattia progredisce

Nel corso degli anni ‘30, la depressione di Virginia Woolf si riaffaccia. Diversi fattori l’alimentano: la lontananza di Vita Sackville-West, la morte del figlio maggiore di Vanessa, ucciso durante la guerra civile in Spagna, il nazismo e il timore di un’invasione tedesca, che le origini ebree di Leonard acuisce. Non a caso, l’ossessione della solitudine e della morte è al centro de Le onde (1931). Nel 1937 esce Gli anni: in questa lunga cronaca, costruita intorno dell’agonia di una madre, Virginia Woolf traccia la storia di una famiglia dell’alta borghesia. Il suo ultimo romanzo viene pubblicato l’anno stesso della sua morte, nel 1941. Tra un atto e l’altro (1941) è la metafora di una festa di paese dove si mescolano illusione e realtà, passato e presente, per rivelarsi infine una meditazione sulle fondamenta della civilizzazione. Subito dopo, il 28 marzo 1941, Virginia Woolf decide di porre fine alla sua esistenza terrena riempiendosi le tasche di sassi e lasciandosi annegare nel fiume Ouse. Lascia come saluto al marito una lettera piena d’amore. Dopo la sua morte, vengono pubblicati Diario di una scrittrice nel 1953 e Momenti dell’essere nel 1976, oltre a carteggi e lettere private, così determinanti per indagare la personalità tanto complessa della grande scrittrice inglese.

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Perché non l’hanno chiesto a Evans? – Agatha Christie

Sono pazzamente innamorata di Agatha Christie, ma al mio palmarès mancava Perché non l’hanno chiesto a Evans?, uno dei suoi lavori meno conosciuti anche se uscito nel 1934. Cioè lo stesso anno di Assassinio sull’Orient Express, tornato sulla cresta dell’onda grazie al Poirot di Kennet Branagh uscito da poco al cinema. Io l’ho scelto semplicemente perché inizia sulle mie amate scogliere, purtroppo del Galles e non della Cornovaglia, ma mi accontento.

La trama

Bobby Jones, quarto figlio del vicario di Marchbolt, in Galles, mentre gioca a golf nel suo villaggio, s’imbatte in un uomo in fin di vita, caduto da un vicino strapiombo: mentre Bobby lo tiene d’occhio, il suo compagno di gioco va a cercare soccorso. Bobby raccoglie le ultime parole dell’infortunato (“Perché non l’hanno chiesto a Evans?”). e trova accidentalmente nella tasca dell’uomo una foto che rappresenta una donna. Poiché ha fretta, affida la custodia del cadavere a un uomo di passaggio, tale Roger Bassington-ffrench. Dalla foto che la polizia trova nella tasca dell’uomo, si risale alla sua identità: è Alexander Pritchard, e ciò è confermato dalla donna ritratta nella suddetta foto, la sorella Amelia Cayman. Dopo l’inchiesta, una pura formalità, Bobby si ricorda delle ultime parole dell’uomo e informa i Cayman. Pochi giorni dopo, finisce in ospedale per aver bevuto una birra avvelenata. Mentre si trova ricoverato, scopre che la foto trovata dalla polizia nella tasca di Pritchard non è quella che lui aveva trovato e viene convinto a investigare dalla sua amica Lady Frances Derwent, “Frankie”, convinta che il tentato omicidio sia legato alla morte dell’uomo. L’uomo morto è davvero Alexander Pritchard? E chi è la donna nella foto? Ma soprattutto, chi ha tentato di uccidere Bobby e perché?

Una coppia buffa e simpatica spariglia le carte all’assassino!

Se avete voglia di leggere un giallo classico, prendete uno qualunque degli innumerevoli romanzi scritti da Agatha Christie e non rimarrete delusi. La scrittrice inglese è una maestra insuperata, e secondo me insuperabile, nel pennellare situazioni, personaggi e fatti in maniera incisiva e asciutta, per poi portare a spasso noi poveri lettori in un vortice di sospetti, indizi veri e falsi e colpi di scena che ci terranno incollati alle pagine fino alla fine. Per poi spesso dover ricominciare a leggere, dall’inizio o solo le parti cruciali, perché la perfida penna della Christie ingarbuglia talmente tanto la trama che sicuramente qualche passaggio fondamentale andrà rivisto.

Il gioco dei nomi

In Perché non l’hanno chiesto a Evans? il gioco di nomi, finti nomi e mascheramenti dei personaggi è marcato e dapprima mi ha lasciato perplessa, anche se alla fine, ricomposti tutti i tasselli, ho capito tutto. Geniale Dame Christie, anche se stavolta posso dire soddisfatta che avevo capito chi fosse l’assassino! L’unico problema è la traduzione italiana, anzi, più che altro la mancata corrispondenza tra i pronomi inglesi e quelli italiani, che rende meno comprensibile ai secondi il gioco sottile che c’è dietro lo spunto iniziale. Ma non posso dire di più per non rovinare la suspense a chi deve ancora leggerlo. Però se dopo vorrete commentare scrivetemi e ne parliamo. Aggiungo solo che la coppia di protagonisti di Perché non l’hanno chiesto a Evans? è buffa e simpatica ed è un peccato che le loro avventure non siano proseguite. In definitiva, un romanzo da leggere in un fine settimana di relax assoluto, sdraiati sul divano in compagnia di una bibita. Mi raccomando, che non sia una birra!

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Tutto ciò che vi devo – Virginia Woolf

Virginia Woolf. Ci sono scrittori senza amici, chiusi nell’ossessione e nella solitudine della propria arte; ci sono autori con un unico, insostituibile sodale, uno sposo, una sorella, un complice, un compagno, a volte magari un po’ ottuso, benevolo, innocuo. E poi ci sono persone per le quali gli amici sono consustanziali al proprio animo e la vita è degna di essere scritta e vissuta proprio in virtù di coloro con cui la si condivide. A questo ultimo gruppo appartiene di certo Virginia Woof.

Le lettere

Virginia scrive alla sorella Vanessa e alle sue amiche Vita Sackville-West, Ethel Smyth, Katherine Arnold-Forster, Violet Dickinson, Madge Vaughan (la Sally di Mrs Dalloway) e Nelly Cecil. In questo minuscolo libro l’editore ha scelto alcune missive significative all’interno di un ricco epistolario che la scrittrice ha alimentato dal 1903 al 1941 con le figure a lei vicine che più l’hanno coinvolta emotivamente, ondeggiando continuamente tra amicizia, amore e sorellanza.

Solo le donne stimolano la mia immaginazione

L’incipit dell’introduzione di Eusebio Trabucchi inquadra fin dall’inizio le pagine che stiamo per leggere e la persona che si svelerà sotto i nostri occhi. In un pomeriggio tranquillo e lento ho passato qualche ora in compagnia di un buon tè, un libro che ha il solo difetto di essere troppo breve e una scrittrice che fino a quel momento avevo trovato ostica, difficile. D’altra parte, in una lettera alla sorella descrive il suo rapporto tumultuoso con la scrittura così: “cerco sempre di andare dietro alle parole; e poi all’improvviso mi piombano addosso“. Leggendo questa corrispondenza, invece, e sentendomi rassicurata dall’esplicita accettazione di Virginia allo sguardo di estranei “decideranno i posteri se conservarle e cosa farne”, ho scoperto un mondo che va oltre la sua figura di scrittrice anticonformista e poliedrica. Un mondo, privato e tenero, in cui la scrittrice mette da parte la corazza che la contraddistingue e si apre a sentimenti che in fondo l’accomunano a tutti noi: l’accettazione del lutto quando scrive che il fratello è morto confessando di aver mentito nelle lettere precedenti per non turbare l’amica in convalescenza, il pettegolezzo spiccio e ironico sui rapporti amorosi di comuni conoscenti, l’incertezza sulle doti d’intelletto e artistiche, la rivalità  con altre autrici contemporanee sui dati di vendita (mi ricorda qualcosa!), l’insicurezza e la voglia di essere amata e capita, l’allegria e l’occhio acuto con cui racconta una giornata con la nipote e una sua amichetta che finisce con tè e pane caldo, la confusa e divertente oscillazione tra il desiderio di accettare una pelliccia ricevuta in dono e il ribrezzo per l’oggetto ricevuto, il ricordo felice delle estati passate in Cornovaglia con la famiglia da bambina.

Umana, troppo umana

Come direbbe Nietzsche, una Virginia Woolf umana, troppo umana. O, piuttosto, una ragazza prima e una donna poi dotata di grande sensibilità , che nelle lettere si esprime con tutta la libertà concessa da un mezzo di comunicazione privato, senza gli obblighi imposti dall’editoria, e in cui comunque il suo genio è manifesto. Il perché è presto detto, come scrive a Nelly Cecil “penso davvero che dovresti mettere mano a un romanzo: sai scrivere lettere, che è molto più difficile“. Di chi scrive romanzi, invece, non pensa un granché bene: “Il peggio è che in pochi hanno l’intelligenza per scrivere romanzi veramente brutti; mentre chiunque è in grado di tirarne fuori uno decente, e insulso. Quest’affermazione perentoria mi ha fatto sorridere: chissà cosa penserebbe Virginia di noi scribacchini moderni, attaccati come cozze alle stelline amazon!

Penso che Virginia ci prenderebbe ironicamente in giro perché lei sapeva bene cosa conta davvero nella vita: l’amore, gli affetti, le persone. Per questo la sua penna mordace rivela senza remore a Ethel Smyth a cosa lei è determinata ad attaccarsi come una cozza:

“Toglietemi gli affetti e sarò un’alga fuori dal mare, la carcassa di un granchio, un guscio vuoto. Le interiora, il midollo, il succo, la polpa, la stessa mia luce, non ne resterebbe più nulla. Sarei spazzata via, finirei in una pozzanghera e annegherei. Toglietemi l’amore per gli amici e il sentimento bruciante e continuo dell’importanza, dell’insondabilità  e del fascino della vita umana e non sarei altro che una membrana, una fibra, senza colore e senza vita, buona solo per essere buttata via come una deiezione“.

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