Winchester è molto piccola, la visita non richiede più di mezza giornata e noi abbiamo un appuntamento importante prima di tornare a casa. Domani ci aspetta il volo da Heathrow e il villaggio in cui sento di dover andare si trova a circa un’ora da Londra, quindi perfetto come tappa di avvicinamento. Anche se non è il motivo per cui ho deciso di andarci.
Goring-on-Thames
Goring-on-Thames, Goring sul Tamigi, è un piccolo villaggio che sembra sospeso nel tempo. Se non fosse per le macchine che raramente attraversano le strade, potremmo tranquillamente trovarci nel 1600. Non è una cittadina di passaggio, chi si ferma qui ci viene intenzionalmente, oppure ci abita. In gran parte, è abitato da persone facoltose che cercano pace, tranquillità e anonimato. Proprio quello che desiderava la persona che cerco. Lascio i bagagli nel pub del paese, che mi ospiterà per la notte, ed esco a cercarlo. Non voglio chiedere indicazioni: se sarà destino, lo troverò. Per fortuna, non c’è alcun circo dell’orrore, nessuno sfruttamento di eventi infausti, nessun cartello che metta il viandante sulla strada giusta. Parto dal fiume: so che aveva scelto Goring perché voleva vivere vicino al fiume, quindi immagino di essere in grado di riconoscere la casa giusta dall’esterno. Sulla banchina, sono ormeggiate diverse barche, ma le persone a bordo si contano su una mano. L’atmosfera è ferma, siamo in estate ma potrebbe essere autunno, se non fosse per il colore verde brillante della vegetazione.
Piove
Piove, e penso che sia giusto. Credo che il cielo stia piangendo e mandi acqua incessantemente dal 25 dicembre 2016. Passeggio per il molo senza una meta. Non so, forse spero di non trovare il cottage giusto. Forse, spero di vederlo uscire da una porticina di legno e dire: “hello”!, ma ovviamente non è possibile. Piove più intensamente, ora. Forse, è il caso di allontanarsi dal fiume. Si sta facendo buio. Forse, è il caso di riprovare con le prime luci del mattino. M’incammino sulla via principale del paese e scorgo delle lettere. Una sola parola, di legno verniciato, appoggiata su un muretto: LOVE. So che sono arrivata. So che potrò salutarlo.
George Michael
Quando vedo ondate di ragazzine isteriche urlare il nome del cantante del momento, anche a me viene da ridere come credo a tutti. Penso che quando saranno grandi ricorderanno quei momenti con affetto e anche un pizzico di nostalgia. Voi quali follie avete fatto per amore del vostro idolo? Io poche, non sono scappata a Sanremo per sposare Simon Le Bon, non ho fatto i calchi in gesso ai genitali (sì, è successo anche questo), non mi vesto di viola come chiedeva Prince, non ho tirato reggiseni come le fans di Vasco Rossi. Niente di pazzo, se non qualche striscione ai concerti. In compenso, ho offerto fedeltà. Le mie passioni musicali mi accompagnano dall’infanzia, hanno resistito agli ormoni impazziti dell’adolescenza, mi hanno consolato quando sono entrata nell’età adulta, mi aiutano a vivere oggi, che gli anni passano e i problemi aumentano.
George Michael era ed è per me tutto questo: è la mia giovinezza spazzata via in un momento, una mattina di Natale quando mi sono alzata felice, pensando ai regali che avrei scartato quel giorno e invece mi sono trovata davanti alla brutalità di una notizia lunga un minuto.
“Careless whispers of a good friend. To the heart and mind, ignorance is kind. There’s no comfort in the truth, pain is all you find”
Sussurri avventati di un buon amico. Per il cuore e la mente, l’ignoranza è gentile. Non c’è conforto nella verità, il dolore è tutto quel che trovi.
Careless whisper
Queste sue strofe sono profetiche. Le domande e i perché sono l’unica cosa che rimane.
George Michael non c’è più. Nessuno di noi potrà più sentire la sua voce unica, straordinaria, immensa. Come immensa è la sua generosità, nei confronti della sua famiglia, del pubblico, delle persone bisognose di aiuto.
Aiuto, come quello di cui forse avrebbe avuto bisogno lui e che nessuno gli ha saputo dare. Oppure, più semplicemente, una stella troppo incandescente per non andare incontro al sole e all’auto distruzione. Di questo sono fermamente convinta: ci sono persone che nascono con un talento straordinario e una sensibilità fuori dal comune. Persone che non sono di questo mondo e che, per quanto si sforzino di essere accettate e di convivere con il grigiore della quotidianità, sono destinate a un disegno superiore. A illuminare le nostre vite per un breve tratto e a spegnersi improvvisamente quando il percorso terreno è compiuto.
Mill Cottage
La dimora e il villaggio che George Michael aveva scelto parlano di lui. Isolate, recondite, discrete all’esterno quanto lussuose all’interno. Un posto che sceglierebbe chi vuole essere lasciato in pace, questa è la mia prima sensazione. Un sentimento che i suoi fan rispettano, perché anche nell’artista che seguiamo ci possiamo riconoscere. Gli omaggi a George Michael sono ordinati, sistemati in maniera decorosa, senza slogan urlati. Siamo arrivati da tutto il mondo per salutarlo: c’è una bandiera della Cornovaglia, da cui sono appena andata via, una greca, una dell’Italia, lasciata qui da un gruppo friulano. C’è la Corea, l’Australia, la Svezia, il Giappone. Ci sono gli Stati Uniti e la Russia. La musica unisce, la musica non divide.
E poi ci siamo noi, io e un uomo che furtivamente si asciuga gli occhi. Si gira e mi saluta sottovoce, prima di andare via. Prendo il suo posto davanti al portoncino di entrata, quello su cui tutti gli anni a dicembre George Michael metteva una corona natalizia. Al posto della corona, ora c’è un messaggio della famiglia per i suoi fans: pregano di rispettare George, che amava tantissimo questa casa, non scrivendo sul muro. Chiedono anche di fare attenzione e di non lasciare gli omaggi a George fuori dalla pensilina se deteriorabili, perché la pioggia li rovinerà irrimediabilmente. Invitano chi ha messaggi o materiale per la famiglia a utilizzare la cassetta della posta che si trova in basso sul portone, perché qualcuno li raccoglierà.
Un tuffo al cuore
E’ raro trovare questo rispetto nei confronti dei fans. E sono orgogliosa del fatto che nessuno abbia disatteso i voleri della famiglia, che il muro sia libero da scritte. Anch’io voglio lasciargli un messaggio. Voglio fargli sapere che lui è con me da tutta la vita, che le sue canzoni mi accompagnano da sempre e continueranno a farlo. E che quando ho finalmente deciso di pubblicare il mio primo libro, Un tuffo al cuore, lui c’era. Gli ho indicato anche la pagina in cui la protagonista balla sulle note di una delle sue canzoni che preferisco, casomai avesse voglia di leggerlo, da lassù. Mentre parlo con lui altre persone si avvicinano al memoriale. Credo siano persone del posto che vengono a salutarlo velocemente prima di proseguire la loro passeggiata.
Nel frattempo, la pioggia continua a venire giù e tira vento.
Ho compiuto la mia missione, posso tornare a casa finalmente.
The John Barleycorn
In queste due settimane abbiamo alloggiato in case private e fattorie, come nella migliore tradizione britannica. Mancava ancora il pub, ma per fortuna abbiamo scritto al John Bartleycorn la sera precedente e ci hanno risposto sì abbiamo posto vi aspettiamo, sempre per email. Informali, veloci, amichevoli. Senza chiedere anticipi, numeri di carta o di telefono. Di persona sono come per lettera: informali, veloci, amichevoli. E sorpresi di vederci qui, lo capisco dall’atteggiamento, ma anche troppo discreti per fare domande. Non devono vedere spesso stranieri da queste parti. Anche stasera infatti siamo gli unici, mentre gli altri avventori ridono e scherzano davanti a un boccale di birra. Vivono bene qui, penso. Pochi e semplici divertimenti, serate in compagnia e una bionda o scura per amica. Mangiamo un fish&chips veloce e andiamo a dormire. Domani, la giornata sarà lunga. E la musica inglese d’eccellenza di nuovo protagonista imprevista…
(continua)
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