Guglielmo Pispisa. A Roma, dopo il black out della notte bianca, Milhous Giordano si ritrova senza volerlo a essere considerato un messia. Poco convinto dei suoi mezzi, per nulla interessato a influenzare le masse, un messia surfista senza pensieri e senza voglia di averne, che non ha niente da dire né da insegnare a nessuno. E’ tuttavia destinatario di un dono che non può ignorare: dopo una notte strana di sesso e alcol, si è svegliato con le mani segnate da stimmate sanguinanti e il potere di guarire le persone. Da quel momento nella sua vita gli eventi si susseguono senza controllo. Intorno, ruotano le vicende della sua famiglia, capitanata da un nonno artista egoista e geniale, uno zio giornalista pragmatico, una madre in preda al fanatismo religioso e una “nonna” che potrebbe essere la sua donna.
Queste sono le situazioni che mi piacciono di più: un romanzo visto per caso, comprato per fare un regalo a un amico. Lo apro, inizio a leggere. Giusto qualche pagina, tanto per essere sicura di non rifilare un mattone invece di una bella storia. Poi, le pagine sono diventate metà libro, metà libro è diventato 3/4 e alla fine volevo solo sapere come andava a finire. Nel frattempo, ho avvisato l’amico che il regalo sarebbe stato posticipato, giusto qualche giorno. La scrittura è piacevole, Guglielmo Pispisa sembra una sorta di Ammaniti in erba: ironia disseminata ovunque, filosofia delle piccole cose anche. Alla fine si ride, ci si commuove, e si riflette su una società in cui anche i morti resuscitano, i vivi sono morti e vince sempre chi fugge. Non solo in amore.